Smart working: come saremo tra qualche anno e consigli per limitarne i danni psico-fisici

Il mondo del lavoro è stato stravolto dal coronavirus e dall’arrivo dello smart working che ha letteralmente rivoluzionato il modo di operare. In base ad un articolo dell’Economist, si è addirittura fatto un confronto tra il pre covid, un lungo periodo fatto di orari in ufficio abitudinari, mezzi pubblici affollati e cartellini da timbrare e lavoro agile da casa post covid, un tipo di lavoro organizzato da remoto con case trasformate in uffici e videochiamate di lavoro.

Come riporta Il Corriere, il coronavirus ha avuto un impatto molto importante per il lavoro, oltre allo smart working bisogna infatti considerare quanti hanno perso il lavoro o non hanno reddito e come si è trasformato il modo di operare, il tempo e il labile confine tra orari e quotidianità.

Mentre prima si rispettavano orari di lavoro da ufficio, con lo smart working anche l’orario è stato ridefinito e persino il weekend è stato trasformato con il lavoro che non di rado prende anche il tempo libero. Secondo gli esperti, lo smart working cambierà del tutto il modo di operare con orari meno definiti e più pause scandite da videochiamate con i colleghi o i superiori, che potrebbero diventare l’unico appuntamento della giornata. Nel futuro, i dipendenti potranno scegliere di lavorare 5 giorni a settimana ma accordandosi su quando essere o meno reperibili ma sarà importante mantenere l’equilibrio tra vita privata e lavoro e non lasciare che questo invada il tempo libero.

Il futuro potrebbe essere caratterizzato dal lavoro distribuito un concetto del tipo lavorare “quando si vuole e dove si vuole” senza confini e orari.

Molte aziende internazionali stanno già seguendo questo input e hanno dipendenti che operano da New York o da Parigi senza un preciso ritmo ma con una precisa organizzazione. L’unico rischio è quello di non saper gestire il tempo libero e lasciare che il lavoro prenda il sopravvento anche sul weekend. A quel punto il lavoro agile non sarebbe più così positivo per il dipendente.

Uno studio promosso da DirectlyApply ha elaborato Susan, una lavoratrice digitale reduce da 25 anni di smart working.

Occhi secchi e arrossati, obesità, calvizie, rughe, macchie sul volto, mani irritate, postura ingobbita e spalle ricurve. È il ben poco attraente identikit di Susan, la rappresentazione computerizzata di una persona reduce da 25 anni di lavoro da remoto. L’ha elaborata uno studio promosso dalla piattaforma web inglese DirectlyApply che ha visto la partecipazione di un team di PSICOLOGI ed ESPERTI DI FITNESS. Un allarme da non sottovalutare, oggi più che mai. Lo smart working quindi alla lunga, secondo quanto si legge, potrebbe comportare problemi non di poco conto sia sul piano fisico che su quello mentale. «Il pendolarismo da letto a scrivania può consentire più tempo libero e indipendenza», hanno scritto i ricercatori. Poi però si sono domandati: «Ripercussioni fisiche sulla tua mente e sul tuo corpo, ne varrà la pena in futuro?»
Secondo lo studio, per evitare di incorrere in questa lunga serie di problematiche può essere sufficiente seguire alcuni consigli utili.

Questi i principali:

  • attenersi a una routine che ottimizzi la produttività;
  • coltivare relazioni sociali con i colleghi;
  • FARE ESERCIZIO FISICO;
  • separare nettamente gli spazi di lavoro da quelli della vita privata;
  • utilizzare il tempo libero per sostenere la propria salute emotiva.

Tutto sta dunque nella routine che si sceglie di rispettare, scandita da precisi riti (e ritmi) quotidiani.